PROSPETTIVE PRESENTI E FUTURE NEL TRATTAMENTO DELL’OSTEOGENESI IMPERFETTA
L’osteogenesi imperfetta (OI) comprende un gruppo diversificato di disordini ereditari del tessuto connettivo con una vasta gamma di fenotipi caratterizzati principalmente da fragilità ossea, oltre che da manifestazioni extra-scheletriche variabili. Durante l’ultimo decennio, sono stati individuati oltre 20 geni causali coinvolti nella biosintesi, modificazione e secrezione del collagene, nella differenziazione e funzione degli osteoblasti e nel mantenimento dell’omeostasi ossea, che hanno permesso una migliore definizione delle varie forme cliniche oltre che di comprendere l’ampia eterogeneità genetica di questa malattia (1). Trattandosi di una patologia secondaria a un difetto genetico della sintesi del collagene, solo una terapia genica diretta a sostituire o rendere silente l’allele mutato può considerarsi risolutiva. Ad oggi non è ancora disponibile una terapia farmacologica eziopatogenetica specifica, al contrario disponiamo di strategie di supporto e di alcuni tentativi “sintomatici” di trattamento (2). Lo scopo delle opzioni di trattamento attualmente disponibili per l’OI includono la prevenzione delle fratture ossee, l’incremento della massa ossea e il controllo dei sintomi, oltre che il miglioramento della qualità di vita attraverso l’acquisizione di un’indipendenza funzionale. Le modalità di trattamento dell’OI includono sia procedure non chirurgiche che chirurgiche.
L’approccio non chirurgico comprende la terapia farmacologica e la riabilitazione fisioterapica finalizzata a prevenire le deformità ossee, prevenire l’atrofia muscolare e migliorare la mobilità. Nonostante ci siano numerosi studi in corso per identificare delle terapie mediche che possano davvero ridurre la morbidità dell’OI (3), negli ultimi anni i farmaci che più sono stati usati nel trattamento farmacologico dell’OI sono essenzialmente i bifosfonati e l’ormone della crescita. L’utilizzo di GH trova il suo razionale d’impiego nel difetto di accrescimento, caratteristico dei casi di OI severa e frequente nelle forme moderate (4), per la sua capacità di aumentare la crescita staturale e stimolare il metabolismo osseo incrementando l’apposizione ossea (5), oltre ad effetti indiretti sul metabolismo del collagene tipo 1 (6, 7). Dai risultati di alcuni studi (8), è stato riscontrato un miglioramento in termini di crescita nei pazienti con OI di tipo IV, con aumento significativo della densità minerale ossea, oltre a un miglioramento del benessere globale, della performance muscolare e dell’abilità motoria (9). L’esperienza ancora limitata e le conoscenze molto scarse in merito agli effetti a lungo termine del GH richiedono ulteriori studi.
Di più largo impiego nel trattamento farmacologico dell’OI sono, invece, i bifosfonati (BPs), analoghi del pirofosfato, che si comportano da potenti inibitori del riassorbimento osseo, riducendo l’attività ed il numero degli osteoclasti; essi interagiscono anche con gli osteoblasti e gli osteociti, migliorando il rapporto tra formazione e riassorbimento osseo e determinando un aumento complessivo della densità minerale ossea (10, 11). Esistono chiare evidenze in merito all’azione dei BPs in termini di miglioramento della microarchitettura ossea (12), della massa ossea (13), della deformità delle ossa lunghe (14), nell’OI. In merito alla sicurezza dei BPs endovenosi (15), sono stati osservati solo piccoli effetti collaterali in acuto, tra cui febbre, diarrea e sintomi disautonomici, mentre a una settimana dalla somministrazione, si sono osservati ipocalcemia e ipofosfatemia. In alcuni studi la somministrazione orale di BPs ha rivelato effetti collaterali gastrointestinali intollerabili e disfagia progressiva (16). Oltre agli effetti collaterali, nonostante i benefici, il trattamento con BPs sembra, tuttavia, non migliorare la lassità dei legamenti, uno dei principali meccanismi responsabili della scoliosi nell’OI. Inoltre, i risultati di alcune metanalisi e revisioni sistematiche hanno evidenziato l’assenza di beneficio dei BPs sulle fratture delle ossa lunghe nei bambini con OI (17-19). Questo risultato sembra suggerire che il miglioramento dell’architettura ossea potrebbe non essere sufficiente a superare l’aumentato rischio di fratture dovuto alle alterate proprietà del materiale osseo. Un altro svantaggio dell’uso dei BPs riguarda la loro emivita relativamente lunga, che può durare anche diversi anni dopo la cessazione del trattamento. Pertanto, risulta necessario introdurre nella pratica clinica nuovi farmaci con un’emivita più breve e diversi meccanismi d’azione. In quest’ottica, è stato studiato il denosumab, un anticorpo monoclonale diretto contro l’attivatore del recettore RANKL, che inibisce la formazione degli osteoclasti senza legarsi all’osso (20). Il principale vantaggio del denosumab è un periodo di degradazione relativamente breve, che dura circa tre o quattro mesi, evitando così gli effetti collaterali di accumulo a lungo termine tipici dei BPs (21). Questo composto studiato in pazienti con OI di tipo I, III, IV e VI non responsivi ai BPs ha mostrato benefici promettenti con una sicurezza relativamente elevata (21, 22). Gli effetti collaterali riportati per denosumab includono effetti di rebound dopo interruzione del trattamento, ipercalcemia e ipercalciuria durante il trattamento (20).
Il trattamento chirurgico nell’OI è riservato alla prevenzione e alla correzione delle deformità ossee che impediscono una buona funzionalità, così da consentire il raggiungimento della massima autonomia possibile per il paziente. L’indicazione all’intervento chirurgico nei bambini con OI è rappresentata dalla presenza di gravi deformità ossee, in caso di esiti di fratture multiple e fratture esposte, forme severe di scoliosi che compromettono una corretta funzionalità respiratoria.
Nonostante siano predominanti i sintomi osteo-articolari, le manifestazioni cliniche dell’OI includono numerose alterazioni a carico di altri organi e tessuti, tra cui il sistema cardiovascolare, quello polmonare, il deficit di dentizione e la perdita di udito (23). Tali anomalie necessitano spesso di trattamenti specifici e si avvalgono della gestione combinata di numerosi specialisti all’interno di un team multidisciplinare. In particolare, le complicanze polmonari rappresentano una delle principali cause di morte nell’OI (24-26). Pur trattandosi per la maggior parte di complicanze secondarie a difetti scheletrici della parete toracica e della colonna vertebrale, alcune evidenze non escludono che possa trattarsi di difetti intrinseci alla malattia (25-27). Inoltre, essendo il collagene di tipo I uno dei principali componenti della matrice extracellulare delle valvole cardiache e della parete aortica, un’alterazione della sintesi del collagene può influenzare le loro proprietà biomeccaniche (28), determinando anomalie valvolari (29-31), dilatazioni aneurismatiche dell’aorta fino ai più rari casi di dissezione aortica (32). Di frequente riscontro nei pazienti con OI sono anche un’aumentata fragilità tissutale e un’insolita suscettibilità al sanguinamento, secondarie alla fragilità dei vasi e alla disfunzione piastrinica (33). Anche il deficit dell’udito rappresenta una complicanza di frequente riscontro nei pazienti con OI (34,35), da cui deriva la raccomandazione a una valutazione periodica della funzionalità uditiva a partire dall’età infantile. Infine, spesso è associata all’OI la dentinogenesi imperfetta, un disturbo dello sviluppo della dentina causato da difetti strutturali del collagene (36), per la quale sono raccomandati, dunque, un’igiene orale meticolosa e approcci finalizzati a prevenire carie e parodontiti.
Accanto alle terapie convenzionali, a quelle di supporto e ai trattamenti specifici delle manifestazioni extra-scheletriche dell’OI, stanno emergendo nuove strategie farmacologiche che offrono nuovi modelli possibili di trattamento dell’OI. Tra queste, rientrano gli anticorpi anti-TGFβ capaci di migliorare la massa e la resistenza ossea attraverso la riduzione dell’attività degli osteoclasti e degli osteoblasti [37, 38, 39], e la terapia antisclerostina (40), che sembrerebbe svolgere un ruolo importante nel reclutamento e nella promozione dell’attività degli osteoblasti. Questi risultati sembrano promettenti, ma sono necessarie ulteriori indagini sul loro utilizzo nell’uomo per definire un eventuale ruolo futuro nel trattamento dell’OI.
Molti sono i tentativi attualmente in corso volti a ricercare una terapia eziopatogenetica risolutiva per l’OI capace di agire a livello della mutazione genetica che interessa i geni per il collagene tipo 1. Tale terapia genica si basa sulla sostituzione o sul silenziamento dell’allele alterato (41). Nel caso di un difetto strutturale della molecola di collagene, generalmente associato ad un fenotipo di malattia più severo, si possono considerare due approcci terapeutici: da un lato, la sostituzione delle cellule che esprimono il gene mutato con cellule normali mediante trapianto di midollo osseo, e, dall’altro lato, la terapia di “antisense suppression” che prevede il silenziamento dell’allele mutato. La terapia di sostituzione cellulare prevede il trapianto di abbondanti cellule mesenchimali staminali o di cellule midollari stromali, con lo scopo di correggere i disordini genetici dell’osso, della cartilagine, del muscolo e degli altri tessuti connettivi (42). La terapia “antisense suppression” prevede, invece, l’uso di piccole molecole con una sequenza complementare all’RNA che codifica per il collagene mutato, che legano e sequestrano l’RNA target impedendone la traduzione. In questo modo, bloccando selettivamente l’espressione dell’allele mutato, senza interferire sulla traduzione del collagene normale, viene trasformata una forma di OI grave in OI lieve (43).
Dalle considerazioni sopra riportate, appare evidente che negli ultimi decenni le conoscenze acquisite in merito al background genetico dell’OI abbiano permesso di studiare strategie di trattamento sempre più mirate e specifiche. Le opzioni terapeutiche attualmente disponibili cercano di prevenire le fratture, controllare i sintomi e aumentare la massa ossea ma sono gravati da un’efficacia relativamente debole, oltre che spesso dalla comparsa di resistenza al trattamento e da effetti collaterali citotossici. Le strategie promettenti per il trattamento futuro dell’OI e di altre malattie genetiche delle ossa si basano sul trapianto di cellule staminali e sull’ingegneria genetica. Tuttavia, la maggior parte di questi approcci è ancora in fase sperimentale, per cui sono necessarie ulteriori indagini per confermare i loro benefici terapeutici nell’OI.
Proponiamo di seguito la lettura di un articolo che riporta un’analisi approfondita dei dati attualmente disponibili in merito al trattamento dell’OI e una panoramica degli studi sperimentali in corso sulle promettenti strategie terapeutiche forse disponibili in un prossimo futuro per una terapia sempre più mirata di questa patologia.
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